Venerdì 19 giugno 2020 si è tenuto il penultimo seminario online che Psifia ha organizzato con il patrocinio dell’Aippi. Il tema scelto in quest’occasione è stato quello dell’esperienza in comunità terapeutica per adolescenti difficili.
Il distanziamento sociale e le restrizioni imposte dal Covid-19 hanno certamente stravolto l’esistenza di tutti. Ma il pensiero è andato in particolar modo a tutti quei giovanissimi ragazzi, i quali – già alle prese con la sospensione del loro tempo di crescita a causa dei traumi subiti – hanno anche dovuto fare i conti con la sospensione e il cambiamento del loro tempo di cura.
Così, abbiamo chiesto a Luca Mingarelli – presidente della Fondazione Rosa dei Venti – come, attraverso il loro modello di cura, aiutino a rimettere in moto le vite interrotte dal trauma dei loro ragazzi, per dar loro la possibilità di ri-tornare nel mondo. Ma gli abbiamo anche chiesto che cosa accade quando un trauma sanitario e sociale sospende/cambia il tempo della cura dei traumi soggettivi. E soprattutto quando lo stesso trauma occupa e preoccupa anche la rete dei curanti.
L’incontro è stato carico di spunti di riflessione, che hanno permesso ai partecipanti di entrare nel vivo dell’esperienza di cura all’interno di una comunità terapeutica per adolescenti. Si è parlato della differenza tra comunità educative e comunità terapeutiche, del significato delle “attività curanti”, ossia di tutte quelle azioni che portano dentro un pensiero e che danno il senso all’esperienza vissuta in comunità; del problema dell’abuso di psicofarmaci in età evolutiva; del lavoro di gruppo con operatori e ragazzi; della riflessione sui traumi sociali al fine di elaborare anche quelli individuali; dell’importanza di dare stabilità al contenitore per affrontare l’incertezza generata dalla paura del virus, che ha momentaneamente interrotto ogni progettualità.
Ma si è parlato anche dei tempi interstiziali della comunità.
“Succede tutto quando non c’è niente da fare”, afferma Luca Mingarelli, facendo riferimento a quei momenti non organizzati della vita in comunità, a quegli spazi lasciati vuoti al cui interno i ragazzi possono prendere contatto con l’atmosfera della loro esperienza interna ed esterna. Sempre Luca Mingarelli dice: “Bisogna lasciare degli spazi non saturi perché le cose emergano e per questo c’è bisogno di una grande struttura che tenga”.
Inevitabile per me – che ho avuto il piacere di moderare l’evento – pensare al lavoro nella stanza d’analisi con gli adolescenti “difficili”, ai loro lunghi e penosi silenzi dentro i quali stiamo. Insieme.
Silenzi che portano dentro l’indicibile, silenzi che dicono di dolori che molte volte non possono essere contenuti nelle parole. Che spesso trasbordano in comportamenti violenti. O si congelano nell’immobilismo. Ma che in un modo o nell’altro creano intense atmosfere.
Mi viene in mente Matte Blanco ed il suo far riferimento all’atmosfera. Così la descrive: “Gli esseri umani comunicano tra di loro attraverso la parola (parlata o scritta), i gesti e gli atteggiamenti. Possiamo, così, parlare di linguaggio verbale e linguaggio non verbale. Tuttavia questa distinzione non è sufficiente ad esaurire l’argomento: potremmo infatti aggiungere un’altra varietà di comunicazione tra gli esseri umani (…) Intendiamo riferirci a quella che potremmo chiamare comunicazione diretta tra due persone le quali non facciano uso, in forma ovvia e/o esclusiva, delle due varietà precedenti. Ci sembra molto probabile che due persone che si amano stabiliscano un contatto e comunichino tra loro, non solo attraverso le parole, gesti ed azioni che possono essere uditi e osservati da chiunque, ma anche attraverso un vincolo segreto, forse più importante di quello ovvio, osservabile. Ogni essere umano sembra emanare una speciale atmosfera attorno a sé. Ognuno, di fronte agli altri, reagisce in modo complesso e molteplice e, apparentemente, questa reazione non è il risultato di qualcosa che a prima vista sia evidente (…) Si prospetta così la possibilità che quest’atmosfera sia il risultato di una captazione inconscia di gesti sottili e impercettibili e di significati che stanno sotto alle parole”.
Eccone una testimonianza, attraverso l’esperienza di Donatella Fiocchi, segretario scientifico della sede Aippi di Milano, che offre anche una emozionante sintesi dell’evento:
“Credo che la capacità di sostenere la violenza senza spaventarsi ma riuscendo ugualmente a mettereun limite sia un aspetto estremamente importante su cui è fondamentale che gli operatori vengano formati.Sicuramente il lavoro di riflessione continuo con i gruppi sia di operatori che di ragazzi che svolge il dottorMingarelli aiuta tutti, in quanto è il contenitore che può sostenere gli uni e gli altri.A proposito poi dell’utilità del farmaco in questi casi, fu per me molto istruttivo quello che mi disse unpaziente prima della separazione estiva.
Si trattava di un giovane di 20 anni che aveva avuto diversi incidenti in moto e che esprimeva, anche se in modosotterraneo, una grande violenza; infatti avevo accettato di prenderlo in terapia solamente con l’appoggio di unopsichiatra che per qualche mese gli diede un farmaco.
Avvicinandosi la pausa estiva emergevano contenuti e aspetti di sorda violenza neiconfronti di sé stesso. Molto in apprensione per il vuoto in cui lo lasciavo gli dissi che forse poteva ancherichiamare lo psichiatra … La sua risposta rabbiosa mi fece intendere chiaramente il suo pensiero… “ero soltanto uno scarica barile!“
Ho molto riflettuto su quella che era la sua richiesta silenziosa: sostenere la sua paura e rabbia, con la fiducia,invece che ce l’avrebbe fatta! Due anni dopo, in un altro momento particolarmentedifficile, mi disse con grande intensità: “Non posso proprio continuare, sabato mi uccido”.
Nell’angoscia dolorosa che mi comunicava, sentivo la responsabilità di questomessaggio molto vero e per niente teatrale. Dovevo parlarne con i genitori? Avrei dovuto dire qualcosa perdissuaderlo? Ma come farlo senza banalizzare la profondità del dolore che mi comunicava o scaricarlo su altri?
Riuscii solo a rispondergli che sabato poteva chiamarmi alle 10 del mattino.
Era mercoledì. Non posso raccontare l’attesa fino allo squillo delle 10 di sabato”.
Credo che questo sia il vincolo segreto, che tiene e contiene.
(Commento a cura della Dott.ssa Anna Vantaggio – Psicologa, Psicoterapeuta dell’Infanzia, dell’Adolescenza e della Famiglia, Presidente Psifia).