Maurice Merleau Ponty (1964) ci dice che il visibile è tutto intessuto di non visibile. Il non visibile non è semplicemente una lacuna nella maglia del visibile, ma è ciò che sottende il visibile come una possibilità ontologica:

“Quel tessuto che fodera il visibile, lo sostiene, lo alimenta e che, dal canto suo, non è cosa, ma possibilità, latenza e carne delle cose. […] Ciò che si chiama visibile è una qualità pregnante di una trama, la superficie di una profondità, una sezione su un essere massiccio, un grano o un corpuscolo portato da un’onda dell’essere”.

Tra visibile e invisibile esiste dunque una relazione di reciproca implicazione. Nella prefazione a Segni (coeva alla scrittura di Il visibile e l’invisibile) Merleau Ponty scrive: “Nessuna cosa, nessun lato della cosa si mostra se non nascondendo attivamente gli altri, denunciandone l’esistenza nell’atto di nasconderli…” Raccogliamo la verità di queste riflessioni per il nostro lavoro di psicoterapeuti, a volte molto vicino alla creazione artistica. Perciò anche in questo seminario il dialogo tra Arte e Psicoanalisi cercherà di aprire i confini del pensiero, mettendo in evidenza quanto già affermato da Paul Klee (1920), che apre infatti La confessione creatrice con la celebre frase:

“L’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è”.