Il momento che stiamo attraversando, intenso e sconvolgente per ognuno di noi, è pieno di incertezze e di pensieri angosciosi. E’ un momento che non dura un momento: è lungo, fatto di attesa, di sguardi su città dalle luci e dai suoni diversi. Dalle finestre, si coglie l’assenza dei rumori a cui siamo abituati, l’assenza dell’altro. Un senso di solitudine che rimanda a ciascuno le proprie responsabilità, per se stesso e per coloro che gli sono vicino. In questi giorni, sono diverse le manifestazioni di disappunto di genitori preoccupati che mettono in luce delle difficoltà non ascoltate, proprio perché generate e incastonate nell’emergenza attuale. Sopra le loro spalle, la preoccupazione per se stessi e per le loro famiglie, per i loro bambini, e la fatica di confrontarsi con le angosce del momento. Sui social, si leggono cenni al fatto che i Decreti Ministeriali si siano “dimenticati” dei bambini, non ne parlino, non diano delle indicazioni su che cosa i bambini possano o non possano, debbano o non debbano fare. I Decreti, il Ministero, sembrano assurgere a punto di riferimento, esattamente come accade con i padri di famiglia. Ci si aspetta che l’Istituzione-genitore indichi la via da seguire, che si assuma pertanto delle responsabilità. Forse, non si tratta solo di stabilire cosa sia legale o meno fare con i propri figli, ma anche della possibilità di contenere emozioni dilaganti di preoccupazione. La paura di far uscire i bimbi, e così di esporli a un nemico invisibile che può farli ammalare, si affianca alla paura di tenerli troppo tempo in casa, “segregati”, alla paura di privarli di una libertà di gioco all’aria aperta, una mancanza di cui potrebbero soffrire. Di cosa sarà fatta allora la giornata per i più piccoli? Si annoieranno? Potranno capire? Avranno paura? Quante domande faranno e come si potrà rispondere?
Tutto questo porta mamma e papà a confrontarsi con una grande fatica, con la sensazione di non essere tenuti nella mente dallo Stato,mentre devono fare i conti con le conseguenze che la situazione porterà nella vita privata e sociale, con gli impegni di un eventuale lavoro da casa e con le domande dei loro bambini. E queste possono essere tante e spesso non si hanno risposte, perché la pandemia è una condizione di incertezza per tutti.
“Se si ammalano la mamma e papà, noi con chi stiamo?”, “Quando si torna a scuola?”, “Che possiamo fare tutto il giorno?”, “I tg parlano solo di persone morte!”
Nell’articolo di Rosa S (https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/03/bambini-scomparsi-coronavirus/?fbclid=IwAR0ZvZjnLew09_s0dyH8eDN88bbXCq11Ib4ZXlI01yvQOpVVlLLJQllCzW0) si legge: “Ognuno procede per suo conto, scrivendo sul proprio computer, nessuno riesce a sintonizzarsi con nessun altro e la frustrazione sale”
In giorni come questi, non è di poco conto la complessità derivante dal rimanere in casa insieme. Nonostante qui ci possano essere tanti modi per impiegare e investire il tempo, tutto può bloccarsi e diventare indefinito, quando i pensieri e le paure di ognuno si sommano,rimanendo dentro senza poter fluire, come isole di sensazioni non condivisibili. Per potersi “sintonizzare” è necessario prima di tutto poter stare in questo momento, poter sentire, senza scansarle, l’incertezza e la noia, poterle tollerare. Poter sentire che i decreti non si sono “dimenticati” dei bambini, ma probabilmente rimandano e lasciano la responsabilità ai genitori. La responsabilità è certamente quella di dover tenere al sicuro i propri figli, ma allo stesso tempo questo implica il pensiero di poter valorizzare il tempo che si può trascorrere insieme a loro. Questo tempo sarà fatto di attesa e di impegno, e può essere importante il fatto di non aspettarsi dai bambini soltanto rassicuranti disegni di arcobaleni, ma anche delle “scene d’assalto”, come quelle descritte e proposte nell’articolo prima citato.
Accogliere i vissuti più spaventosi dei bambini significa poter far loro da contenitore per la loro paura. I bambini possono sentire che va tutto bene se mamma e papà mostrano loro la fiducia che sarà realmente così, e se il disegno dalle tinte più forti o dai contenuti più paurosi viene legittimato ad esistere e si può guardare insieme. Solo così si può, poi, trasformare in un arcobaleno, che di solito è qualcosa che arriva dopo il temporale, spesso quando ancora il cielo è grigio. Il disegno, il gioco, sono i mezzi con cui il bambino mette in scena e fuori da sé le sue paure. Se può rappresentarle, se le può condividere e parlarne, non si sente solo.
Questo è ciò che solo la mamma e papà possono fare con lui in questi giorni sospesi. Gli adulti possono far sentire al bambino che va tutto bene, potendo tollerare prima di tutto la loro stessa incertezza di fronte alle domande dei piccoli. Si può stare con loro, anche nella loro noia, che può essere anche la nostra. Per far sentire loro che di noia non si muore, e che casa è un posto sicuro che si può vivere ogni giorno, dando valore al tempo attraverso i legami.
(A cura della dott.ssa Aurora Polito – Psicologa, Psicoterapeuta dell’Infanzia, dell’Adolescenza e della Famiglia, Socia Psifia).